
In ricordo di Aldo Tortorella proponiamo
alcuni brani del suo intervento
al 19° Congresso del Partito comunista italiano
Bologna, 7-11 marzo 1990.
Gli atti del congresso non furono pubblicati.
L’intervento testimonia il suo modo di intendere
il rapporto tra passato e futuro.
Care compagne e cari compagni,
il compito che sta dinanzi a questo congresso è quello di guardare davanti a noi, ai doveri che ci spettano per quello che siamo e rappresentiamo, nella situazione che si sta creando nell’Europa e nel mondo.
Una delle conseguenze più avvilenti della contemporaneità […] è questa lezione continua che a noi comunisti viene ora rivolta sulla democrazia e sul mercato, sul pluralismo e sulla impresa, sulla laicità e sulla distinzione tra partito e Stato, come se i comunisti italiani avessero atteso il crollo del muro di Berlino per avviare tutte queste scoperte.
Ma non c’è una sola delle conquiste delle rivoluzioni democratiche dell’Est che noi comunisti italiani non abbiamo affermato nella nostra politica pratica, e ancor prima delle nostre condanne esplicite di questi sistemi.
Viviamo in un momento in cui l’aprirsi di grandi speranze per le rivoluzioni democratiche all’Est, si accompagnano con una pericolosa stretta: assieme con la grande volontà innovatrice di Gorbaciov, con un’azione audacissima; assieme con il risveglio dei popoli c’è l’elemento del crollo e del fallimento totale dei sistemi di pianificazione dall’alto e di negazione della democrazia. C’è la spinta che viene dalle parti conservatrici a seppellire ogni idea di antagonismo sociale e politico.
Ma il bisogno di antagonismo – lo sappiamo – sta scritto in una realtà che non può essere cancellata: il terzo mondo come altra faccia della ricchezza; i rischi ambientali come risvolto dello sviluppo; la violenza verso i deboli come prezzo estremo della ideologia del successo.
È giusta ed esaltante la grande idea di Gorbaciov dell’interdipendenza, della fine di un mondo diviso, di una corresponsabilità tra tutti gli uomini.
Ma quante critiche di utopismo inconcludente si levavano in questo nostro paese per la idea di governo mondiale dell’economia, quando essa fu lanciata in anni lontani in un nostro congresso dal nostro Enrico Berlinguer! E sono evidenti i segni che dalla idea della interdipendenza è possibile che si passi ad una egemonia a senso unico.
Si scontrano due idee diverse sui limiti della democrazia intesa come sistema di regole: l’una è quella delle forze conservatrici o apertamente reazionarie, che riprendono il timore dell’antico filosofo sulla democrazia come demagogia e disordine, puntando dunque ad un restringimento degli spazi di libertà. L’altra idea della democrazia come sistema di regole, è quella che noi abbiamo abbracciato: noi abbiamo superato ogni contrapposizione tra democrazia formale e democrazia sostanziale. Ma abbiamo al tempo stesso sottolineato che proprio perché le regole democratiche possano pienamente vivere, è indispensabile contrastare i limiti posti alla loro attuazione dagli altri poteri, e innanzitutto dal potere economico.

È stata sottintesa per lunghi anni una immagine del socialismo che non era la nostra e che non fu mai chiaramente e nettamente sostituita da quel nuovo senso della parola comunismo e socialismo, che venivano non solo dalla lezione di Gramsci o dall’incontro con Gobetti, ma dalla esperienza concreta nostra, dal ripudio di altre esperienze, dalla lettura critica delle nostre stesse azioni.
Sempre di più quelle parole riassumevano per noi non già l’idea di una fine della storia, ma di uno stimolo alla lettura critica della società; di una inquietudine di fondo rispetto all’abisso tra fatti e valori predicati in questa società.
Le grandi finalità sono necessarie perché danno ad una forza politica una collocazione e un impianto di cultura; sono la coscienza e la cultura etica della politica; impongono dei vincoli all’agire politico. Danno alla politica un senso, una coscienza, la garanzia di essere un’attività non arbitrariamente mobile, superficiale, non negativamente pragmatica.
Anche un partito solo pragmatico non è privo di finalità, naturalmente, ma inevitabilmente o finisce per fare sue le finalità del sistema sociale esistente, o rischia di concepire come suo scopo unicamente il possesso del potere.
E un partito di sinistra, infine, non può non appartenere ad un quadro culturale d’insieme; non può non sforzarsi di arrivare ad una cultura politica che si ispiri all’antidogmatismo, alla criticità, alla scientificità consapevole, alla indagine consapevole della realtà: economica, sociale, umana.
Anche sotto questo riguardo non si deve scambiare la critica della ideologia con la rinuncia ad una cultura politica e un impegno morale.
8 marzo 1990